Antonio Megalizzi ci lascia un’eredità importante: realizzare il suo sogno quello di un’Europa senza confini e senza barriere, un’Europa finalmente unita.
Antonio era un ragazzo della mia generazione, che ha vissuto per pochi anni l’Europa dei confini e delle frontiere, di quando per andare in Austria c’era la fila al Brennero per passare la frontiera e c’erano i controlli. “Documenti prego!” E qualche centinaio di metri dopo “Reisepass, bitte!” scena che ormai è rimasta solo in un celebre film di Verdone, consegnata al passato. Ora di quelle frontiere esistono solo i vecchi caselli, lasciati per ricordare che un tempo c’era un confine vero, per il quale cento anni fa i ragazzi della nostra età sono morti.
Ma l’Europa è anche il simbolo dell’accoglienza, nata per portare pace e unità dopo essere stata devastata dall’odio razziale e da folli idee di supremazia.
In questi anni abbiamo fatto i primi passi importanti, ma la strada verso un’Europa federale è ancora lunga, anche se l’Europa esiste già. L’Europa è in ogni ragazzo che parte per l’Erasmus con la voglia di imparare, di conoscere, di festeggiare feste diverse e non festeggiare le proprie, di imparare un’altra lingua, mangiare cose diverse (ma sempre con una Moka in valigia) e confrontarsi con un modo diverso di vivere. Perché la diversità è una ricchezza che non può fare paura.
Dobbiamo continuare a costruire l’Europa, a difenderla da chi vuole convincerci ad arroccarci nelle nostre certezze. Lo dobbiamo a Valeria, Fabrizia, Antonio.